Maggio 2012

 

Realizzate 2 aule scolastiche e un locale deposito, ripristinato il pozzo e ristrutturati i servizi igienici nel villaggio di Hadjanaho* (Benin).

  

Anacapri, 1 giugno 2012

Allegati: relazione contabile e documentazione fotograficaarticolo tratto da “L’informatore popolare”

Desideriamo esprimere la nostra più sentita gratitudine a tutti coloro ci hanno sostenuto a realizzare la scuola composta da due aule e da un locale deposito con l’antistante veranda, a ripristinare il pozzo abbandonatoda molti anni ed a ristrutturare i servizi igienici nel villaggio Hadjanaho*, ubicato in piena savana, nel Benin.

Gli interventi sono stati eseguiti anche grazie all’apporto fattivo della popolazione che ha prestato la loro opera, fornendo una parte del legname per la carpenteria e della sabbia e sotto la sorveglianza diretta e constante deiMissionari Camilliani, operativi presso l’Hopital “la Croix” di Zinviè.

Dal 9 maggio scorso, i numerosi ragazzi della scuola elementare possono frequentare regolarmente le lezioni in aule luminose, asciutte e sicure senza l’incubo della pioggia che allagava le vecchie capanne di fango, coperte da lamiere arrugginite. Le donne del villaggio possono attingere tranquillamente l’acqua potabile dalla falda acquifera dell’unico pozzo completamente ripristinato e dare da bere ai bambiniriducendo sensibilmente i frequenti casi di infezioni intestinali e di tifo, anche grazie alla completa ristrutturazione dei servizi igienici annessi al plesso scolastico.

Insieme abbiamo reso dei servizi primari agli abitanti della savana africana, popolazione più sfortunata, ma più riconoscente verso coloro che sono disponibili ed impegnati nella solidarietà.

Ringraziamo tutti anche a nome dei ragazzi, degli alunni e dei cittadini di Hadjanaho per il concreto contributo accordato e per la benevolenza offerta e porgiamo i più cordiali saluti.

Vincenzo Torelli 

Elio Sica 

     

HADJANAHO significa in fon, lingua molto difusa nel Benin meridionale, “sciacallo che ulula“. Il villaggio prende questo toponimo da episodi accaduti durante la triste e deprecabile tratta degli schiavi, praticata negli Stati dell’Africa Equatoriale fino al XIX secolo, anche con il concorso  dei vari regnanti. Gli abitanti di questo villaggio si scavavano dei nascondigli per sfuggire alla cattura dei negrieri, assoldati dai vari governanti, ed imitavano gli ululati dello sciacallo, mammifero carnivoro, molto temuto dai mercenari. Questo astuto inganno quasi sempre funzionava e metteva in fuga i negrieri, salvando la vita dei poveri contadini.

Sulla targhe in ceramica apposte sulla scuola – elaborate dagli artisti Sergio e Raffaello Rubino – molto diverse da quelle tradizionali e burocratiche, sono riprodotti: